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Joaquin Phoenix parla della morte di Regan Russell: “Non ci tireremo mai indietro”

L’attore premio Oscar Joaquin Phoenix ha prestato la sua voce alla folla di attivisti per i diritti degli animali che chiedono giustizia per l’uccisione di Regan Russell e l’abrogazione della legge “Bill 156”.

Phoenix ha assistito a una veglia davanti a un macello di Los Angeles giovedì per ricordare Russell, una donna di Hamilton che è stata colpita da un camion di trasporto pieno di maiali il 19 giugno a Burlington in Ontario. L’attore, un noto attivista per i diritti degli animali che dà acqua ai maiali a Los Angeles, è stato fotografato con un cartello che diceva “#SavePigs4Regan”. Ha anche rilasciato una dichiarazione:

“Regan Russell ha trascorso gli ultimi momenti della sua vita fornendo conforto ai maiali che non avevano mai provato il tocco di una mano gentile”, ha detto. “Mentre la sua tragica morte ha provocato un profondo dolore nella comunità di Animal Save, onoreremo la sua memoria affrontando vigorosamente le crudeltà che ha combattuto così duramente marciando con Black Lives Matter, proteggendo i diritti degli indigeni, combattendo per l’uguaglianza LGBTQ e vivendo un vita vegana compassionevole”

“Il governo dell’Ontario può tentare di zittirci con l’approvazione del disegno di legge Ag-Gag – Bill 156 – ma non andremo mai via e non ci arrenderemo mai. Il mio cuore va alla comunità di Toronto Animal Save e al partner di Regan, Mark Powell. “

La dichiarazione di Phoenix è stata letta ad una folla di oltre 200 persone riunite davanti alla Fearman’s Pork Inc. a Burlington domenica per una veglia, una settimana dopo la morte di Russell. Russell, 65 anni, era spesso fuori la Fearman, dove lei e gli altri davano un ultimo sorso d’acqua ai maiali messi nei camion prima di essere portati al macello. Intorno alle 10:20 di quel giorno, Russell fu in qualche modo colpita e uccisa da un camion.

L’unità di ricostruzione delle collisioni della polizia regionale di Halton sta indagando.

Mark Powell, un appaltatore del West End e marito di Russell, era contento che Phoenix abbia dato una spinta al messaggio, “Russell lo faceva ogni volta che era possibile”.

“Nella sua memoria, dobbiamo dire al mondo ciò che già sappiamo”, ha detto. “È nostro compito onorare la sua memoria.”

People for the Ethical Treatment of Animals (PETA) afferma che Regan Russell persuase anche un agricoltore dello Iowa a risparmiare due maiali venduti per la macellazione. PETA li ha nominati Regan e Russell e li ha inviati in un santuario di animali.

I sostenitori dei diritti degli animali chiedono inoltre alla provincia di abrogare il disegno di legge 156, un cosiddetto “disegno di legge” che crea “zone di protezione degli animali” che proibiscono agli attivisti per i diritti degli animali di “interferire o interagire con gli animali da fattoria nel veicolo a motore. ” Aumenta anche le multe per chiunque sia stato sorpreso a trasgredire su terreni agricoli e impianti di trasformazione alimentare, o chiunque abbia accesso a una fattoria con “false pretese” – rendendo effettivamente illegali le riprese.

Il Security From Trespass e Protecting Food Safety Act, 2019 è stato introdotto nella legislatura dell’Ontario alla fine dell’anno scorso. Il ministro dell’Agricoltura Ernie Hardeman ha dichiarato che è in risposta alle lamentele degli agricoltori riguardo ai gruppi per i diritti degli animali che violano la loro proprietà privata.

La Federazione dell’agricoltura dell’Ontario ha raccolto il sostegno al disegno di legge, affermando che “protegge le nostre aziende agricole, famiglie, bestiame e approvvigionamento alimentare” dalle tattiche sempre più aggressive dei gruppi per i diritti degli animali.

“Le aziende agricole dell’Ontario sono state sempre più minacciate da trasgressori e attivisti che entrano illegalmente in proprietà, fienili ed edifici, violando i protocolli di biosicurezza”, ha dichiarato il presidente Keith Currie in un comunicato stampa del 12 giugno.

“Le proteste pacifiche sono ora diventate violazioni, invasioni, irruzioni nei fienili, furti e molestie”.

fonte: https://www.cbc.ca/news/canada/hamilton/joaquin-phoenix-1.5630689

Anche a nuoto in fuga verso la libertà

Una storia, questa accaduta vicino Salerno, sicuramente non inedita ma che racconta ancora una volta la straordinaria forza della resistenza degli animali di fronte ai tentativi di caccia, uccisione e ingabbiamento. Un cinghiale ferito da un cacciatore di frodo (non è il periodo di caccia, come poi sottolinea l’articolo e l’ente di protezione animali, ma anche se fosse…) riesce a sfuggire alla morte gettandosi a mare. Stavolta abbiamo fortunatamente anche un lieto fine perché il cinghiale riesce a salvarsi con questa disperata fuga a nuoto, poi soccorso e curato da un veterinario.

Pontecagnano, cinghiale ferito nuota in mare per scappare dai cacciatori

“Adottare una mucca” ovvero l’ultima frontiera della Bio-violenza

Leggiamo da un articolo apparso sul quotidiano online “Il Post” come sia possibile “adottare una mucca” aiutando le piccole aziende agricole nella incalzante crisi economica, ovviamente “per mangiare cose più buone” (che sarebbero sempre degli individui animali) o soltanto per aumentare in qualche modo il “benessere animale” nel contesto della produzione biologica e degli allevamenti sostenibili.

“Lo scorso 10 aprile, a circa un mese dalla chiusura delle attività per l’emergenza coronavirus, una piccola cooperativa di allevatori con sede a San Pietro di Cadore, vicino a Cortina, ha deciso di dare in adozione le sue quaranta mucche. L’idea non era liberarsene, ma continuare ad allevarle nelle proprie stalle chiedendo un contributo economico a tutti coloro che avessero voluto partecipare e offrendo in cambio una selezione di prodotti della loro latteria […] A ricorrere al modello delle adozioni a distanza sono soprattutto le aziende agricole e le fattorie più piccole, con sistemi di coltivazione biologici e allevamenti non intensivi, che producono meno facendo più attenzione ai processi e alla qualità. I costi di queste piccole imprese sono altissimi rispetto al loro profitto e in questi mesi di emergenza sanitaria le difficoltà sono ancora più del solito”

Ci troviamo di fronte ad un nuovo modello nell’ambito dello sfruttamento animale, con la partecipazione attiva dei consumatori al lavoro di piccole imprese che non volevano, nel corso di una crisi di sovrapproduzione, “liberarsi” degli animali (il verbo riflessivo usato nell’articolo de Il Post lascia intendere che li avrebbero uccisi e non liberati, come sta infatti avvenendo in altri posti del mondo in questo periodo, come spesso documentiamo su questo blog). Questo nuovo appello pare stia riscuotendo un discreto successo, per via dell’efficacia che in generale risultano avere queste campagne pubblicitarie degli allevamenti non intensivi, con tutta la loro retorica del benessere animale, della carne felice etc. Si potrebbe anche dire che sono un altro aspetto del complessivo sistema di sussidi che mantiene in attivo un’industria in perenne crisi come quella lattero-casearia: se non con i fondi provenienti dalla fiscalità generale (e quindi in una certa qual misura anche “nostri”, pure di chi si oppone allo sfruttamento animale) adesso si fa appello ad una partecipazione diretta dei consumatori, che sembra si mostrino subito interessati a cibarsi in maniera responsabile di altri individui animali in un contesto che gli lava anche un poco la coscienza. Meno inquinamento, meno antibiotici, meno sofferenza e così via.

A questo riguardo è interessante allora rivedere il concetto di Bio-Violenza per come è stato analizzato dall’attivismo antispecista nel corso degli anni, in particolare rispetto agli allevamenti estensivi-bio:

Esistono una serie di sistemi di produzione di carne e derivati che potremmo chiamare, per comodità, “allevamenti non intensivi”. Rientrano in questo calderone tipologie anche piuttosto diverse: grandi allevamenti con spazi maggiori degli intensivi, pascolo, ecc.; produzioni biologiche certificate; piccoli allevamenti a conduzione familiare; e altri ancora. Ciò che le differenzia dall’intensivo è talvolta un più alto standard di salubrità o qualità della carne (meno antibiotici, meno ormoni, meno farmaci in generale, miglior foraggio), talvolta una maggior attenzione al benessere animale, talvolta una particolare attenzione all’impatto ambientale, più spesso la compresenza di questi elementi. In generale, però, tali produzioni sono percepite come pratiche che implicano una certa considerazione del benessere animale e una generica sostenibilità (termine che evoca in modo spesso confuso tutti gli aspetti menzionati sopra).
Secondo noi, la diffusione – e, soprattutto, la sovraesposizione discorsiva – di queste tipologie di allevamenti costituisce una risposta dell’industria della carne all’indignazione pubblica, o anche solo alla possibilità che la gente sviluppi dei “problemi di coscienza”. Nessun complotto, sia chiaro: anche se in alcuni casi i big del settore creano a tavolino progetti di propaganda dell’allevamento “buono”, in linea di massima la retorica dell’allevamento sostenibile fa presa in modo spontaneo. In realtà, solo raramente l’insistenza sull’immagine della fattoria biologica o sul recupero delle “tradizioni contadine” spinge davvero a consumare prodotti provenienti da tali ambiti: perlopiù incoraggia il consumatore a proseguire a cuor leggero nell’acquisto dei “classici” articoli del supermercato. La retorica della “sostenibilità”, in sostanza, legittima gli allevamenti intensivi: “consumatore, puoi stare tranquillo e continuare a comprare, perché, vedi, esistono molti luoghi in cui gli animali vengono trattati bene”.
Ma gli animali sono “trattati bene”, negli allevamenti non intensivi? È difficile generalizzare, data l’eterogeneità del fenomeno. Tuttavia, occorre ricordare un fatto banale: gli animali “da reddito” vengono, presto o tardi, mandati al macello. Possono vivere in gabbie più larghe, più a lungo, talvolta possono interagire con i loro simili, ma è al mattatoio che sono destinati. E – dato che in ogni caso costituiscono una fonte di profitto – non vi arriveranno certo “nella vecchiaia”, come spesso ci danno ad intendere i supporter dell’allevamento sostenibile. Alcune di queste migliorie possono certo essere significative per i singoli animali, nel senso che, pur nella schiavitù, possono significare concretamente una vita un po’ più sopportabile, ma si tratta in fondo di diversi gradi di sfruttamento. Spesso poi queste migliorie restano sulla carta, come nel caso degli allevamenti “a terra”, in cui troviamo le gabbie a terra o migliaia di polli o tacchini ammassati in capannoni privi di luce naturale. In altri casi, allevamento “non intensivo” significa “non industrializzato”, “non meccanizzato”, o semplicemente “di piccole dimensioni”. La mancanza di tecnologie di gestione dei corpi tecnologicamente avanzate e standardizzate non implica però necessariamente che non si manifesti la violenza umana: anzi, spesso riemergono le forme di violenze tipiche della tanto decantata “vecchia fattoria”, in cui il rapporto diretto fra allevatore e allevato, descritto come idilliaco dai produttori di carne, significava catene, percosse, incuria. Senza contare che esiste un intero settore, quello degli animali marini, in cui di benessere praticamente non si parla, poiché l’opinione pubblica non è sensibile alla sofferenza dei pesci. In questo settore si parla perlopiù di attenzione allo spreco (cioè a non esaurire le “risorse”), all’inquinamento o alla biodiversità. Questa precisazione rivela un punto interessante: le misure per il benessere animale non sono mai davvero un obiettivo in sè e per sè, ma costituiscono una sorta di effetto collaterale dei veri obiettivi delle proposte di migliorie legislative, che sono l’ottimizzazione della produzione, la tutela di specifici prodotti “di qualità”, la salute del consumatore umano, e così via. In sintesi, dunque, gli allevamenti “estensivi” sono soltanto l’altra faccia di quelli intensivi.
 
 
Resterebbe molto altro da aggiungere, concludiamo solo considerando che se si ha la voglia di “adottare” un animale, ci si può benissimo rivolgere a uno dei tanti rifugi e santuari per animali liberi presenti sul territorio, che in questo periodo vivono anche loro un momento di difficoltà economica.

 

DAIRY = DEATH

La scritta “DAIRY = DEATH” [per dairy qui si intende la produzione lattero-casearia, mentre death ovviamente significa “morte”] è apparsa sulla vetrina di un negozio di formaggi a Brighton, nel Regno Unito. Una rivendicazione del gesto è stata inviata al sito Unoffensive Animal

“Il 5 maggio ci siamo copertx il ​​viso, abbiamo preso una bomboletta spray e ci siamo direttx a Brighton. Siamo statx ispiratx da altre azioni di questo tipo che abbiamo visto fare nella nostra zona. Siamo stufx di vedere negozi “rispettosi del benessere animale” vendere prodotti di origine animale. Pensano che ciò sia un atto innocente, ma sappiamo che stanno ancora utilizzando e abusando di animali: “ruspante” e “alto benessere” sono solo etichette utilizzate in modo che gli esseri umani possano sentirsi meglio riguardo all’abuso.

I media locali hanno raccontato l’azione e pubblicato una storia unilaterale su come la proprietaria del negozio sia molto arrabbiata. Speriamo che lei e i suoi clienti pensino a cosa stanno vendendo e per cosa stanno pagando, e non ci dispiace che questo negozio possa cadere in difficoltà finanziarie.

Siamo rimastx molto delusx nel vedere come nelle reazioni sui media moltx veganx non supportino l’azione e affermino che questa danneggi il “movimento vegano”. A loro diciamo: noi siamo il movimento di liberazione animale. Non stiamo lottando per avere più opzioni vegane e per l’accettazione nella società. Stiamo combattendo per la liberazione”.

Mille galline salvate dal massacro in un allevamento intensivo in Iowa

da https://sentientmedia.org/1000-hens-rescued-from-iowa-egg-farm-struggling-under-covid-19/

L’allevamento di galline da uova progettava di “depopolare” più di 100.000 galline, così i soccorritori hanno noleggiato due aerei per trasportare un gruppo di galline dall’azienda dello Iowa a un rifugio presso Grass Valley, in California.

GRASS VALLEY, California – Nel fine settimana, Animal Place, il rifugio più antico e più grande della California per gli animali d’allevamento, ha salvato 1.000 galline da una fattoria di uova nello Iowa, in crisi a causa della pandemia di COVID-19.

L’allevamento di uova, che ha chiesto di non essere identificato, aveva pianificato di uccidere più di 100.000 galline con il gas. La pratica, chiamata “depopolare”, è un metodo sempre più comune usato dagli agricoltori in difficoltà che non hanno un posto dove mandare i loro animali, poiché i lavoratori contagiati dal virus, le chiusure di macelli e le catene di approvvigionamento interrotte stanno causando il caos nel sistema alimentare americano.

Prima di “depopolare” il suo allevamento, la fattoria ha preso una decisione insolita consentendo alle persone di prendere le galline sulla loro proprietà e quindi i sostenitori locali dei diritti animali hanno allertato Animal Place, un’associazione specializzata in salvataggi su larga scala. Due membri dello staff di Animal Place hanno quindi guidato per circa 30 ore dalla California allo Iowa per coordinare il salvataggio con otto volontari locali.

Le condizioni di vita all’interno della struttura per la produzione di uova erano davvero tristi. I soccorritori hanno trovato un sistema di gabbie a batteria con gabbie impilate in verticale da quattro a cinque e con 10 galline in ogni gabbia. Hanno anche trovato gabbie con galline sopravvissute costrette a stare in piedi e camminare sopra le galline defunte. Le galline morte disseminavano le navate laterali del fienile.

Con la riduzione dei fondi, gli agricoltori non avevano nutrito bene le loro galline per una settimana prima del salvataggio. I soccorritori hanno riferito a Sentient Media che tutte le galline che sono troppo malate per essere adottate rimarranno nel santuario e riceveranno cure a vita.

Sabato, le galline sono volate da Fort Dodge in Iowa fino a Truckee in California, a circa un’ora dal santuario di Grass Place di Animal Place, dove le galline saranno curate, rimesse in salute e poi adottate nei giardini privati in tutta la California.

“L’intero processo, a partire dalle 27 ore di auto, arrivare alla fattoria alle 3 del mattino, caricare e scaricare casse complete da aerei e veicoli, e andare direttamente a prendersi cura di loro una volta arrivati ​​al santuario è stata l’esperienza più estenuante che io abbia mai avuto “, ha detto la responsabile di Animal Place per la cura degli animali Hannah Beins.

“Data la distanza e la logistica, il nostro personale e i nostri sostenitori hanno dovuto intensificare gli sforzi ancora di più del solito”, ha dichiarato il direttore esecutivo di Animal Place Kim Sturla. “Sfortunatamente nemmeno noi possiamo accogliere 100.000 galline, il che è una goccia nel mare delle centinaia di milioni di galline uccise ogni anno dall’industria delle uova, anche in un anno tipico senza una pandemia globale.”

Anche se hanno molti anni di vita davanti a loro, una volta che la loro produzione rallenta, a 12-18 mesi, le galline ovaiole vengono in genere uccise e sostituite con nuove. Circa il 95 percento delle galline negli Stati Uniti sono alloggiate in gabbie a batteria, che offrono loro meno spazio di un normale foglio di carta, incapaci di allungare le ali. Nelle fattorie industriali, le galline sono allevate per una produzione di uova insolitamente elevata, che esaurisce il loro calcio e provoca osteoporosi e ossa fratturate. Strette all’interno delle gabbie della batteria, questi sintomi si intensificano. “Chiunque abbia studiato attentamente la vita sociale degli uccelli saprà che il loro è un mondo sottile e complesso, in cui cibo e acqua sono solo una piccola parte dei loro bisogni comportamentali”, ha affermato il dott. Desmond Morris, uno zoologo e specialista in comportamento animale.

“Lo farei di nuovo in un batter d’occhio, perché fino al loro salvataggio queste galline non hanno mai toccato l’erba o sentito il sole, e ora possono vivere il resto della loro vita come dovrebbero fare tutte le galline”, ha detto Beins.

Per celebrare le 1.000 vite salvate, Animal Place sta servendo 1.000 pranzi vegani ai lavoratori agricoli locali e alle loro famiglie.

 

Support Agripunk! Adopt Agripunk!

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Ciao! E niente, finita la causa per lo sfratto è iniziato il lockdown per il Covid-19 🙁
Abbiamo concentrato le nostre energie e risorse per mantenere le belve e non fargli mancare nulla durante questo fermo sia del volontariato che delle attività ed eventi di autofinanziamento.
Per fortuna per questi 3 mesi (febbraio, marzo e aprile) ci ha aiutato moltissimo la redazione di Liberazioni, rivista di critica antispecista ma per i prossimi mesi abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti voi!
Noi siamo sempre qui, siateci vicinx!

DONAZIONI

 

 

 

Comunicato del gruppo di supporto agli/le antispecistx prigionierx:

da https://quaglia.noblogs.org/post/2020/05/01/lamore-non-e-un-crimine-notizie-sulla-repressione/

Lo scorso ottobre, mentre il tribunale federale richiedeva l’uscita immediata del prigioniero antispecista Matthias, incarcerato dal 1 dicembre 2018 a Champ Dollon (cantone di Ginevra, Svizzera) sulla base di semplici sospetti su atti di sabotaggio di istituzioni speciste, alcune persone vicine al militante si erano recate davanti alla prigione di detenzione provvisoria per attendere la sua uscita imminente. I/le 5 amicx presenti avevano preparato per la liberazione del loro compagno uno striscione su cui si leggeva “Matthias ti vogliamo bene”. Dopo più di 11 mesi ad aspettare la sua uscita e dopo molteplici ricorsi al prolungamento della sua ingiusta detenzione, la loro gioia e sollievo stava infine per trovare un riconoscimento.

Ma quella che doveva essere un’uscita felice non lo fu. Nel momento in cui veniva scattata una foto ricordo del loro striscione per qualche secondo per mostrarla alle persone più vicine, arrivò un furgone della polizia e i poliziotti ordinarono ai/le solidali di mostrare i documenti di identità, con il pretesto di una “manifestazione non autorizzata”. Confiscarono freddamente lo striscione e ordinarono loro di “circolare”.

Matthias uscì il giorno successivo e questo incidente vergognoso fu presto dimenticato per la gioia del ritrovarsi. Tuttavia, lunedì 24 febbraio 2020 i/le 5 amicx hanno avuto la cattiva sorpresa di ricevere una multa di 750 franchi ciascunx, con l’accusa di diverse infrazioni come aver fatto eccessivo rumore.

Ovviamente loro contestano i fatti in maniera assoluta, non avendo parlato a un volume più alto del normale, né diffuso della musica o scandito degli slogan. Hanno semplicemente fotografato il loro striscione per 20 secondi prima di metterlo via di nuovo.

Denunciamo la repressione che subiscono gli/le attivistx antispecistx come anche quellx di tutte le altre lotte politiche. Tentare di intimidire le persone vicine e che sostengono i/le prigionierx politicx non funzionerà, siamo solidali e indignatx dai tentativi delle autorità di sabotare questi atti d’amore, per fare meglio sprofondare le persone che lottano quotidianamente contro le ingiustizie. Siamo più forti di questo tentativo di metterci il bavaglio!

I/le 5 amicx di Matthias hanno fatto ricorso contro la loro ordinanza penale e sono già rappresentatx da degli avvocati.

Promemoria dei fatti sull’incarcerazione di Matthias:

Il 1 dicembre 2018, Matthias e un’altra attivista sono inviatx al carcere di Champ-Dollon, sospettatx di danneggiamenti materiali nei confronti di ristoranti, macellerie, manifesti specisti come anche di un mattatoio. La seconda attivista sarà rilasciata dopo una settimana di detenzione. Matthias vi resterà rinchiuso per più di undici mesi. Mirabelle, una terza attivista, vi resterà anch’essa rinchiusa un mese prima di venire rilasciata.

Il 6 novembre 2019, Matthias, Mirabelle e un altro attivista sono statx processatx dal tribunale penale di Ginevra. Il tribunale ha riconosciuto che la polizia aveva ottenuto delle prove illegali, lx ha assoltx sulla metà delle accuse, ma ha comunque emesso delle condanne pesanti. Tuttx loro hanno fatto appello alle loro condanne illegittime. La data del processo di appello di fronte alla Corte di Giustizia di Ginevra non è ancora stata fissata.

L’antispecismo è una lotta politica allo stesso modo del femminismo, del riconoscimento dei diritti per le persone LGBTIQ+ e dell’antirazzismo. Essa sostiene la necessità di dare la voce ai 77,5 milioni di animali uccisi ogni anno in Svizzera, ai 60 miliardi uccisi nel mondo e ai 1.000 miliardi di animali marini che subiscono le conseguenze della pesca. Il diritto alla vita e al rispetto degli interessi fondamentali di questi individui deve prevalere sul mantenimento di un sistema economico, di una tradizione o di un piacere gustativo. L’attivismo antispecista apre dunque a diversi mezzi, legali e dissidenti, per ottenere un cambiamento di sistema necessario alla sopravvivenza di esseri sensibili in un contesto di emergenza ecologica.

Articoli connessi a questo caso repressivo:

https://www.letemps.ch/ [1]
https://www.20min.ch/
https://www.letemps.ch/ [2]

Per contatti con il gruppo di supporto:

soutienauxactivistes@protonmail.com
https://www.facebook.com/pg/solidariteavecnotrecamaradeantispeciste/

Welcome to the Pigs Hotel

Mentre il Covid-19 cominciava a diffondersi nei “mercati umidi” di animali selvatici uccisi davanti ai clienti della provincia cinese di Wuhan, nella stessa Cina continuava a crescere un fenomeno davvero inquietante: enormi palazzi di cemento armato contenenti migliaia di maiali da allevamento, i cosiddetti “Pigs Hotel”, edifici dell’orrore alti fino a 13 piani che possono “produrre” e quindi vendere come cibo fino a 850.000 poveri suini all’anno.

Il fenomeno incredibile sta prosperando negli ultimi anni, proprio mentre si diffondevano le malattie come le Sars, con le relative infezioni provenienti dal salto di specie operato dai virus dagli animali allevati in queste situazioni oscene agli esseri umani che li sfruttano per fini commerciali.

Nell’ultimo periodo, quello della diffusione della pandemia dovuta al Covid-19, la gestione dei Pigs Hotel sta diventando problematica per gli allevatori e le aziende alimentari, viste le restrizioni del mercato: nonostante questo, però, bisogna continuare a considerare il fenomeno ancora come in espansione e di conseguenza tenere conto del progetto tremendo di morte e profitto che gli umani stanno portando avanti. Una volta terminata questa emergenza del Covid, sarà quindi importante vedere se ci sarà una ripresa più o meno forte della crescita di questi allevamenti, questi grattacieli della morte: solo una presa di consapevolezza globale contro l’industria della carne potrà fermare questo sterminio.

Come gli allevatori “praticano l’eutanasia” ai maialini. Ecco cosa non ti diranno i media

da https://veganista.co/2020/04/23/how-farmers-euthanize-baby-pigs-heres-what-the-media-wont-tell-you/

di Ari Solomon

L’industria della carne americana è nei guai. Ora che innumerevoli hotel e ristoranti, che normalmente servono molta carne, sono chiusi, e molti mattatoi sono diventati focolai di infezioni da coronavirus, la produzione e le vendite sono crollate.

Mentre una pausa nazionale dalla carne potrebbe essere benissimo un ordine del medico, mi sono imbattuto in questo articolo estremamente inquietante che riportava come gli allevatori avessero iniziato a “praticare l’eutanasia” ai maialini poiché ora c’è un surplus.

Da un lato, questa situazione potrebbe effettivamente rivelarsi migliore per questi poveri animali. Seguitemi nel ragionamento. La vita dei maiali negli allevamenti industriali è fatta di crudeltà e orrore. Ai maschi vengono regolarmente strappati testicoli, code e denti senza anestesia quando sono solo bambini. Vengono quindi stipati in spazi ristretti dove vengono ingrassati fino a quando un giorno vengono caricati su un camion e portati in un macello. Il solo viaggio sul camion è un incubo di per sé. Questi animali trascorrono ore senza cibo o acqua in condizioni climatiche estreme. Quando raggiungeranno la loro destinazione, saranno brutalmente radunati all’interno e alla fine saranno appesi a testa in giù e gli verrà aperta la gola.

Per le femmine, è anche peggio. Trascorreranno quasi tutta la vita in quelle che l’industria chiama “casse di gestazione”: gabbie di metallo appena più grandi dei loro corpi, dove daranno alla luce la cucciolata fino allo sfinimento. Ci sono molti video fatti di nascosto che evidenziano questa pratica orribile se non mi credete. Proprio come i maiali maschi, le femmine vedranno la fine della loro miserabile vita sanguinando sul pavimento del macello.

Si potrebbe obiettare che morire prima che avvenga una di queste torture potrebbe effettivamente essere considerato misericordioso.

C’è solo un problema.

Quando pensiamo al termine “eutanasia”, pensiamo a una morte indolore, forse persino pacifica. Questo è ciò che la parola significa letteralmente, dopo tutto: una “buona morte”.

Quelli di noi che hanno dovuto praticare l’eutanasia ai propri animali da compagnia quando erano malati terminali e soffrivano, sanno che è un atto di compassione. Al tuo animale viene prima dato un colpo per farlo addormentare. Quindi, una volta che sono incoscienti, viene somministrato un secondo colpo che ferma il loro cuore.

Questo non è ciò che accade ai maialini negli allevamenti di suini.

La verità è che, ancor prima di questa pandemia, i maialini negli allevamenti industriali che erano malati o non considerati sani dall’industria venivano regolarmente uccisi da una pratica chiamata “thumping” [dal verbo to thump: picchiare, battere, martellare, Ndt]. Questo è ciò che accade: un maialino viene afferrato dalle zampe posteriori e schiacciato a testa in giù nel pavimento di cemento. Molte volte, l’animale da piccolo non viene ucciso al primo tentativo e quindi questo gesto viene fatto ripetutamente. È indicibilmente violento, crudele e disgustoso. So che sembra incredibile, ma ho visto ore di riprese video girate sotto copertura che documentano questo fatto. Cercate su Google se ne avete il coraggio.

Chiamare queste uccisioni “eutanasia” è una bugia e i nostri media dovrebbero davvero smettere di usare un eufemismo industriale per quella che è in realtà la brutale uccisione di cuccioli indifesi. Se lo facessi al tuo gatto o cane o anche a un animale selvatico per strada, verresti arrestato e accusato di crudeltà verso gli animali. Probabilmente andresti in prigione.

Purtroppo, i maiali – come tutti gli animali sfruttati per il cibo – non sono visti né dalla legge né dagli agricoltori allo stesso modo. Anche se i maiali sono altrettanto sensibili e persino più intelligenti dei cani. No, negli allevamenti industriali, sono visti come nient’altro che materie prime e trattati come tali.

Ricordatevi di questo durante il vostro prossimo giro al supermercato.

Gli animali da allevamento vengono abbattuti in massa in quanto i focolai di COVID-19 arrestano la produzione di carne e latticini

da https://sentientmedia.org/farmed-animals-culled-en-mass-as-covid-19-outbreaks-halt-meat-and-dairy-production/

di Jessica Scott-Reid

Con le chiusure COVID-19 che incidono sulla filiera della carne e dei prodotti lattiero-caseari, l’industria deve affrontare una scelta: rimanere aperti e rischiare la vita dei propri dipendenti, oppure chiudere e costringere gli agricoltori ad abbattere milioni di animali.

Dall’inizio di aprile, molte delle più grandi aziende di trasformazione della carne del mondo – JBS USA, Tyson Foods, Smithfield Foods e Cargill – hanno chiuso oltre 20 macelli e impianti di imballaggio negli Stati Uniti e in Canada, in risposta al crescente numero di personale infetto con COVID-19. Mentre i produttori spingevano per mantenere attive le linee di macellazione, queste strutture diventavano focolai per il virus. In Canada, uno stabilimento dell’Alberta Cargill è ora responsabile del più grande focolaio nel paese, con un caso su quattro del virus nella provincia collegato alla struttura.

Successivamente, le chiusure degli impianti di macellazione di carne stanno interrompendo le catene di approvvigionamento, lasciando molti agricoltori con troppi animali che ora stanno uccidendo, o presto uccideranno, in massa. Un rapporto del Des Moines Register sulle chiusure cita il senatore degli Stati Uniti Chuck Grassley, che stima che l’industria suina del paese abbia circa 100.000 maiali che dovrebbero essere inviati al macello ogni giorno ma ora non hanno nessun posto dove andare. “Applicalo per oltre 10 giorni e con un milione di maiali, hai un grosso problema.”

Il Guardian riferisce che almeno due milioni di animali sono già stati uccisi nelle fattorie negli Stati Uniti, “e che si prevede che quel numero aumenterà”.
Allo stesso modo, a causa della chiusura di ristoranti, hotel e scuole, anche i produttori di latte e uova vedono interruzioni nella loro catena di approvvigionamento. Di conseguenza, i produttori lattiero-caseari stanno buttando via il latte e i produttori di polli stanno distruggendo le uova negli Stati Uniti e in Canada. Un recente articolo del New York Times ha definito la quantità di rifiuti “sconcertante”. L’articolo cita Dairy Farmers of America, stimando ogni giorno fino a 3,7 milioni di litri di latte che vengono buttati via dagli agricoltori. E “un singolo robot da cucina sta distruggendo 750.000 uova non sbattute ogni settimana”.

Altri rapporti dei media di aprile hanno descritto i produttori che gasano suini e polli e abortiscono i maialini. Un recente rapporto di Reuters spiega come Al Van Beek, agricoltore dell’Iowa, non avesse un posto dove spedire i suoi maiali per fare spazio ai 7.500 maialini che si aspettava dalle sue scrofe. “Ha ordinato ai suoi dipendenti di fare delle iniezioni alle scrofe gravide, una per una, che le avrebbero fatto abortire i loro maialini”.
Il 28 aprile, il National Pork Board ha pubblicato un documento intitolato COVID-19: Strumenti per il benessere degli animali per i produttori di suini, che elenca i metodi consentiti di eutanasia di massa. Questi includono sparo, trauma da forza contundente manuale, elettrocuzione, anidride carbonica e “in tempi e circostanze limitate”, come in questo momento: spegnimento della ventilazione.

Secondo l’American Veterinary Medical Association, “l’arresto della ventilazione comporta la chiusura della casa [stalla / capannone], la chiusura degli ingressi e lo spegnimento dei ventilatori. Il calore corporeo proveniente dalla mandria aumenta la temperatura in casa fino a quando gli animali muoiono per ipertermia. Numerose variabili possono far sì che il tempo della morte del 100% degli animali nella stalla sia soggetto a un intervallo di tempo “. Il vantaggio incluso dal National Pork Board significa aggiungere anidride carbonica e/o semplicemente aumentare il calore.

Questa settimana, il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo, costringendo i macelli statunitensi a rimanere aperti, ritenendo la produzione di carne “essenziale” nonostante le preoccupazioni per la sicurezza dei lavoratori. Vi sono, tuttavia, domande sulla attuabilità dell’ordine, ed è ancora da vedere come possa essere eseguito.

Nessun ordine del genere è stato fatto in Canada, e così è iniziato l’abbattimento degli animali da allevamento, insieme allo scarico di latte e prodotti lattiero-caseari. Secondo quanto riferito, un agricoltore sull’isola del Principe Edoardo ha ucciso 270 maiali la scorsa settimana, smaltendo i loro corpi in una discarica. Secondo un tweet di Alberta Pork: “Alcuni rapporti suggeriscono che oltre 90.000 maiali saranno probabilmente eliminati dagli allevatori”.

Il dottor Sylvain Charlebois, professore di distribuzione e politica alimentare presso la Dalhousie University, stima che i prodotti lattiero-caseari in dumping siano “tra i 50 e i 160 milioni di litri, in tutto il Canada”.

Per gli animali, questa è una situazione senza scampo, poiché sarebbero stati sfruttati e uccisi in un modo o nell’altro. Lo spreco di prodotti di origine animale, denaro e altre risorse, nonché la tensione inutile sull’ambiente, aggiungono solo il danno alla beffa. Questa situazione particolare fa luce soprattutto, tuttavia, sulla fragilità e l’insostenibilità del nostro attuale sistema alimentare, nonché sulla mancanza di attenzione, cura e compassione per quegli animali destinati a essere cibo.