Category Archives: rivolte

Comunicato del gruppo di supporto agli/le antispecistx prigionierx:

da https://quaglia.noblogs.org/post/2020/05/01/lamore-non-e-un-crimine-notizie-sulla-repressione/

Lo scorso ottobre, mentre il tribunale federale richiedeva l’uscita immediata del prigioniero antispecista Matthias, incarcerato dal 1 dicembre 2018 a Champ Dollon (cantone di Ginevra, Svizzera) sulla base di semplici sospetti su atti di sabotaggio di istituzioni speciste, alcune persone vicine al militante si erano recate davanti alla prigione di detenzione provvisoria per attendere la sua uscita imminente. I/le 5 amicx presenti avevano preparato per la liberazione del loro compagno uno striscione su cui si leggeva “Matthias ti vogliamo bene”. Dopo più di 11 mesi ad aspettare la sua uscita e dopo molteplici ricorsi al prolungamento della sua ingiusta detenzione, la loro gioia e sollievo stava infine per trovare un riconoscimento.

Ma quella che doveva essere un’uscita felice non lo fu. Nel momento in cui veniva scattata una foto ricordo del loro striscione per qualche secondo per mostrarla alle persone più vicine, arrivò un furgone della polizia e i poliziotti ordinarono ai/le solidali di mostrare i documenti di identità, con il pretesto di una “manifestazione non autorizzata”. Confiscarono freddamente lo striscione e ordinarono loro di “circolare”.

Matthias uscì il giorno successivo e questo incidente vergognoso fu presto dimenticato per la gioia del ritrovarsi. Tuttavia, lunedì 24 febbraio 2020 i/le 5 amicx hanno avuto la cattiva sorpresa di ricevere una multa di 750 franchi ciascunx, con l’accusa di diverse infrazioni come aver fatto eccessivo rumore.

Ovviamente loro contestano i fatti in maniera assoluta, non avendo parlato a un volume più alto del normale, né diffuso della musica o scandito degli slogan. Hanno semplicemente fotografato il loro striscione per 20 secondi prima di metterlo via di nuovo.

Denunciamo la repressione che subiscono gli/le attivistx antispecistx come anche quellx di tutte le altre lotte politiche. Tentare di intimidire le persone vicine e che sostengono i/le prigionierx politicx non funzionerà, siamo solidali e indignatx dai tentativi delle autorità di sabotare questi atti d’amore, per fare meglio sprofondare le persone che lottano quotidianamente contro le ingiustizie. Siamo più forti di questo tentativo di metterci il bavaglio!

I/le 5 amicx di Matthias hanno fatto ricorso contro la loro ordinanza penale e sono già rappresentatx da degli avvocati.

Promemoria dei fatti sull’incarcerazione di Matthias:

Il 1 dicembre 2018, Matthias e un’altra attivista sono inviatx al carcere di Champ-Dollon, sospettatx di danneggiamenti materiali nei confronti di ristoranti, macellerie, manifesti specisti come anche di un mattatoio. La seconda attivista sarà rilasciata dopo una settimana di detenzione. Matthias vi resterà rinchiuso per più di undici mesi. Mirabelle, una terza attivista, vi resterà anch’essa rinchiusa un mese prima di venire rilasciata.

Il 6 novembre 2019, Matthias, Mirabelle e un altro attivista sono statx processatx dal tribunale penale di Ginevra. Il tribunale ha riconosciuto che la polizia aveva ottenuto delle prove illegali, lx ha assoltx sulla metà delle accuse, ma ha comunque emesso delle condanne pesanti. Tuttx loro hanno fatto appello alle loro condanne illegittime. La data del processo di appello di fronte alla Corte di Giustizia di Ginevra non è ancora stata fissata.

L’antispecismo è una lotta politica allo stesso modo del femminismo, del riconoscimento dei diritti per le persone LGBTIQ+ e dell’antirazzismo. Essa sostiene la necessità di dare la voce ai 77,5 milioni di animali uccisi ogni anno in Svizzera, ai 60 miliardi uccisi nel mondo e ai 1.000 miliardi di animali marini che subiscono le conseguenze della pesca. Il diritto alla vita e al rispetto degli interessi fondamentali di questi individui deve prevalere sul mantenimento di un sistema economico, di una tradizione o di un piacere gustativo. L’attivismo antispecista apre dunque a diversi mezzi, legali e dissidenti, per ottenere un cambiamento di sistema necessario alla sopravvivenza di esseri sensibili in un contesto di emergenza ecologica.

Articoli connessi a questo caso repressivo:

https://www.letemps.ch/ [1]
https://www.20min.ch/
https://www.letemps.ch/ [2]

Per contatti con il gruppo di supporto:

soutienauxactivistes@protonmail.com
https://www.facebook.com/pg/solidariteavecnotrecamaradeantispeciste/

OLTRE LA PANDEMIA, LO STATO DI POLIZIA

OLTRE LA PANDEMIA, LO STATO DI POLIZIA

Si percepiva sin dall’inizio di questo stato d’emergenza che la tutela della salute poco c’entrasse con il dispiegamento di controlli messo in campo nelle strade di tutta Italia. Si è insistito con una delirante narrazione supportata dalla complicità di tutti gli organi d’informazione, che spostasse sui comportamenti dei singoli le responsabilità delle migliaia di morti del profitto, via via legittimando una violenza e una brutalità che molte di noi conoscono bene sulla propria pelle da ben prima che fosse dichiarata l’emergenza. Chi invoca l’esercito e la militarizzazione dei territori è stato accontentato: non c’è angolo delle città che non sia in mano all’arroganza delle divise di ogni ordine e grado. A farne le spese sono gli stessi che chi comanda ritiene sacrificabile: i nemici interni, gli indesiderabili, gli ultimi, i carcerati fino agli anziani nelle case di riposo. Forse dalle finestre della reclusione forzata, a forza di avere sotto gli occhi quotidianamente la violenza dello Stato, in molti si stanno accorgendo del suo vero volto.

A Torino qualcuno ha detto BASTA e, di fronte all’ennesimo brutale fermo della polizia con pestaggi violentissimi nei confronti di due uomini in Corso Giulio Cesare, ha deciso di scendere in strada. Tante persone sono uscite di casa e presto 4 di loro sono state violentemente spintonate dalla polizia, buttate a terra, ammanettate e portate via. Sono state poi dichiarate in arresto per resistenza, lesioni e favoreggiamento. La reazione di chi stava intorno è stata decisa: la strada è stata occupata, per rendere palese che questo uso della paura in chiave sempre più repressiva ha da tempo valicato il limite della sopportazione,tanto più che connotato da un senso di impunità e di onnipotenza della sbirraglia tutta. E proprio mentre in carcere i contagi dilagano, lo Stato continua a riempirle.

LA SALUTE DI TUTTI E TUTTE NOI NON PUO’ ESSERE UNO STATO DI POLIZIA!

Su alcuni media si inizia timidamente a riportare di abusi di potere da parte di chi porta la divisa, riportando però che si trattadi “qualche esponente delle forze dell’ordine che ha dato sfogo ad un eccesso di zelo”. Come se fossero poche “mele marce”. Come possiamo pensare che esista una differenza tra i torturatori della caserma di Bolzaneto al G8 di Genova nel 2001 e quelli che spaccano di botte e umiliano i detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere che chiedono la tutela della propria salute nel periodo di emergenza COVID? O tra i carnefici di Cucchi, Aldrovandi, Lonzi e i 13 poliziotti che pochi giorni fa a Catania hanno preso a manganellate e sedato col taser un uomo sul bus perché privo di biglietto? O tra gli infiniti esempi di violenza da partedi sbirri in questura, negli uffici della polfer, per strada e la violenza silenziosa ma legalizzata che in questo periodo di emergenza in ogni città si respira?

Lo stiamo vedendo anche a Bologna, dove le intimidazioni da parte di sbirraglia varia nei confronti dei malcapitati di turno non si stanno certo facendo attendere. Sulla nostra pelle viviamo tutti i giorni fermi e controlli al limite dello stalking: c’è chi viene fermato e accompagnato nei suoi vari tragitti da auto di polizia in borghese, chi viene intimidita e videoripresa dalla penitenziaria di controllo nei parchi, chi viene multato in casa propria per assembramenti con persone non residenti mai identificate, chi è minacciato di avere perquisizioni domestiche con 41tulps per ricerche di armi ed esplosivi (“tanto coi precedenti che avete otteniamo subito un mandato” cit.), chi viene fermato e ammanettato a terra.

C’è chi aveva ben chiaro già prima di quest’emergenza che la polizia non svolgesse nessun altro ruolo che la tutela degli interessi di chi detiene il potere e che non è certo in strada per la nostra sicurezza. Per questo non ci sorprende il trattamento vessatorio che mettono in campo sulla nostra o altrui pelle in un momento particolare come questo. Bensì ci chiediamo: quando ci renderemo tutti e tutte conto che la misura è colma? Quando ci sarà una presa di consapevolezza diffusa della violenza legalizzata che svolgono di mestiere questi individui? E quando avverrà, come sapremo reagire e riprenderci ciò che ci stanno togliendo se ci siamo abituati a tenere la testa china?

È arrivato il momento di alzare la testa, di non accettare la violenza che qualcun altro subisce per strada girandosi dall’altra parte, di aprire gli occhi tutti e tutte sul fatto che militari, polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria nelle strade, nei parchi, sotto casa, non siano affatto lì per la tutela della salute di qualcuno, ma per la protezione dell’ordine e degli interessi di pochi.

NON ABBIAMO MAI INTESO LA LIBERTA’ COME UNA CONCESSIONE ED È IL MOMENTO DI RIPRENDERSELA

LIBERTA’ PER GIORDANA, MARIFRA, DANIELE E SAMU!

Anarchici e anarchiche

 

Zootecnia e antispecismo

“Tutta la storia della zootecnia dimostra la lotta incessante fra soggiogati e allevatori. Si tratta di una lista potenzialmente interminabile di pratiche il cui vero denominatore comune è proprio la resistenza a cui rispondono: fruste, morsi, gioghi, operazioni chirurgiche, sterilizzazioni, selezione genetica, tecniche comportamentali, retoriche elaborate  per spezzare la solidarietà interspecifica …” M. Reggio, Leggere la resistenza, p. 25 in Animali in Rivolta, Mimesis Edizioni.

Nel 1855 si tenne a Parigi la seconda edizione della “Esposizione universale dei prodotti dell’agricoltura, dell’industria e delle belle arti”. Tra le varie innovazioni tecnologiche applicate all’industria venne presentato al pubblico un esempio di automazione delle operazioni di mungitura.

Siamo agli albori della diffusione della Zootecnia come scienza applicata dello sfruttamento degli animali a scopo di profitto. Nel 1849 viene istituita la prima cattedra universitaria di “tecniche dell’utilizzo animale”. Nel contesto di questo processo di istituzionalizzazione e di industrializzazione, troviamo un parallelo percorso di moralizzazione della zootecnia ad opera dei primi movimenti animalisti dell’epoca. Questi movimenti sorgevano secondo un’ottica protezionista e paternalista nei confronti degli animali ed erano socialmente connotati da una composizione alto borghese e occidentale. La promozione di una zootecnia progressista vedeva l’animale non utilizzato in quanto macchina, ma messo al lavoro in quanto servitore docile: “L’uomo deve impegnarsi nella conservazione degli animali […] coltivando la loro intelligenza e la loro sensibilità, sviluppando i loro istinti più favorevoli, temperando, le une con le altre, le loro qualità morali: la pazienza, il coraggio, l’ardore e la docilità; perché è attraverso queste stesse qualità che essi divengono per l’uomo il più prezioso dei suoi strumenti” (Raccolta dei Rapporti e delle Memorie della Società di protezione degli animali, Parigi 1848, pag. 5). Nel 1859 nel bollettino della stessa società animalista francese si scriveva in merito alla protezione e al governo degli animali che “La protezione comprende la domesticazione più generalizzata che possibile, l’educazione, l’acclimatazione, l’uso e l’impiego di ciascuno secondo le sue attitudini, la propagazione utile, e infine la distruzione particolare, quando necessaria all’armonia generale”. Un approfondimento di questa tematica è stato fatto da Benedetta Piazzesi in un workshop organizzato da “Oltre la specie”, da cui sono tratte queste citazioni.

https://www.youtube.com/watch?v=0er7Ko05m2Y

La storia del movimento animalista occidentale ha visto il passaggio da questa ottica protezionista ottocentesca a un approfondimento antispecista analitico che nel Novecento ha portato alla creazione del veganesimo (si veda ad esempio il testo fondamentale di P.Singer “Animal liberation”) e di un impianto non più paternalista ma etico rispetto agli altri animali, fondato in particolare sul rifiuto di consumo di prodotti animali, diretti o derivati. Solo più recentemente, sempre nel contesto di un movimento che pur evolvendosi è rimasto ampiamente minoritario, siamo arrivati all’antispecismo politico legato anche al concetto di intersezionalità rispetto alle altre oppressioni. Non di meno si può dire che sia la concezione paternalista che quella etica siano ancora pienamente presenti nella maggior parte dei movimenti animalisti, per cui abbiamo da un lato tutta una serie di gruppi e associazioni che fanno appello a una improbabile riduzione del danno nello sfruttamento animale (gli allevamenti biologici, la cosiddetta “carne felice”, etc.) e dall’altro lato abbiamo l’egemonia di un discorso antispecista incentrato sulla figura del consumatore etico, di chi non consuma prodotti animali. A me pare che la ricostruzione degli albori del movimento animalista metta in piena luce tutti i limiti di una caratterizzazione di tipo utopistico e borghese: mentre il protezionismo faceva i suoi primi timidi passi, contemporaneamente l’allevamento diventava una pratica industriale sempre più diffusa e centrale nel capitalismo, per cui si potrebbe anche dire che questo animalismo sia servito da ideologia giustificazionista di questo processo o perlomeno che non abbia fermato lo sterminio programmato degli animali.

Anche la pratica che enfatizza il ruolo etico di boicottaggio da parte del consumatore, seppure rappresenti quasi sempre il primo approccio per chiunque voglia iniziare un percorso animalista e antispecista concreto, mi pare insufficiente. Mentre controlliamo in quanto vegan la nostra dieta quotidiana, nei mattatoi e negli allevamenti milioni di animali non umani vengono lo stesso sfruttati, torturati e poi uccisi, con il dispiegamento incalcolabile di una sofferenza terribile. Secondo Sarat Colling, «entrambi, i polli e gli esseri umani, sono oppressi dal sistema capitalistico in cui le merci sono la prima forma di comprensione del mondo. Non andiamo oltre l’oggetto che abbiamo di fronte per considerare i mezzi di produzione, perché le nostre menti e i nostri corpi sono stati «colonizzati» – cosa che non riusciamo a riconoscere»

https://operavivamagazine.org/lo-sguardo-neutrale-non-esiste

kigen