Dieci anni di zootecnia in Italia

Il report DIECI ANNI DI ZOOTECNIA IN ITALIA elaborato dall’associazione “Essere Animali” presenta numerosi dati molto interessanti sull’evoluzione dello sfruttamento animale nel nostro paese.

Partiamo dal primo dato che emerge dal report: dopo gli ultimi dieci anni nel nostro paese si mangia meno carne, ma si macellano più animali, come riporta anche il titolo di un’analisi del report di Essere Animali fatta dal sito internet Vegolosi. Il consumo di carne è calato nel complesso del 7% e si è spostato prevalentemente dal consumo di “carni rosse” a quello di “carni bianche” e di pesce. Il numero dei pesci macellati, in particolare, è cresciuto di ben 50 milioni, spiegando così il gap paradossale che emerge tra riduzione del consumo e aumento della macellazione. In sostanza, pare che le campagne di informazione medica sui rischi per la salute umana provenienti dalle carni rosse abbiano spostato una fetta di mercato verso il consumo di polli e pesci: qui la percezione del rischio resta comunque distorta, perché si sottovaluta fortemente il danno provocato alla salute dei “consumatori” degli animali allevati con antibiotici.

Il settore industriale della produzione del latte ha conosciuto negli ultimi dieci anni una forte ristrutturazione, che tra l’altro ha potuto evitare una crisi verticale solo attraverso quel sistema di sussidi che lo tiene forzosamente in piedi nonostante gli eventuali cali di profitto. In Italia si consuma meno latte, ma restano stabili e molto richiesti i formaggi (di cui non si percepiscono evidentemente né i rischi per la salute né tanto meno gli effetti devastanti sulla vita degli altri animali). Inoltre, si macellano meno agnelli per il consumo di carne, che è sceso del 30%, mentre è aumentato del 28% il numero degli ovini destinati all’allevamento da latte.

Altro dato di rilievo che emerge dall’indagine: “In questi anni, il numero delle mucche allevate
sul territorio italiano per la produzione di latte è rimasto pressoché invariato con un calo di
100.000 esemplari (-4%). Cambia però la modalità di gestione: dal 2010 è scomparso il 32%
degli allevamenti ed è aumentato il numero di animali per ogni struttura, a testimoniare la
crescita del modello intensivo come sistema di allevamento”. Anche per i maiali abbiamo un significativo aumento dello sfruttamento intensivo negli allevamenti industriali, sia per quanto riguarda la concentrazione in pochi allevamenti sempre più grandi, sia per come i maiali vengono cresciuti, facendoli ingrassare oltre i 110 kg.

Un dato in controtendenza riguarda infine i cavalli e gli agnelli, il cui consumo di carne si è ridotto decisamente negli ultimi dieci anni: per gli italiani questi due animali sembrano essere ormai sempre più percepiti come animali di affezione, possibili animali domestici, per cui li si vede molto più come pet che come “carne”.

Vegolosi conclude l’analisi del report con questa breve riflessione: “I dati sono solo parzialmente incoraggianti, e sono il frutto di una normale preoccupazione dei consumatori verso la propria salute e solo parzialmente per quella delle condizioni degli animali, se non per alcune ristrette categorie come conigli e cavalli con le quali è più semplice un immediato riscontro empatico (così come per gli agnelli, anche se non è mai chiaro, che il latte di pecora, ancora fortemente prodotto per consumo diretto o per la realizzazione di formaggi, viene prodotto solo se le pecore hanno cuccioli, ossia agnelli che se non dirottati nuovamente alla filiera del latte, verranno macellati e esportati)”.

Le statistiche mostrano dunque una situazione solo apparentemente contraddittoria, ma che in fondo pare segnare una profonda ristrutturazione del consumo di prodotti alimentari derivati da animali. Lungi da rappresentare un passo in avanti in un auspicabile, se pur graduale, cammino di liberazione animale, i numeri dimostrano piuttosto una ridefinizione articolata delle forme di sfruttamento messe in pratica dall’industria della carne, con il tentativo di rendere compatibili nel sistema di oppressione specista anche alcune pratiche discorsive della cultura animalista, dei diritti e del benessere animale.